"Il giardino di limoni"

21.12.2018

Sono stato ad una serata di cinema itinerante organizzata dai ragazzi del "Fronte della Gioventù Comunista" (FGC) di Lecce che si è svolta presso il "Centro Multiculturale Crocevia".

"Il giardino di limoni" il film in proiezione; un lungometraggio che desideravo vedere da tempo ma che non ero mai stato capace di reperire. Al centro della questione, quella tra Israele e la Palestina ma non dal punto di vista militare, bensì dal punto di vista civile; fa capire quanto il peso di questa situazione incida sulla vita quotidiana di coloro che abitano quei territori. Si può notare quanto il peso dell'autorità israeliana sia presente all'interno della vita privata palestinese, vittime di ingiustizie e soprusi di ogni tipo. Salma è una donna araba che vive da sola in una casa circondata da una piantagione di alberi di limoni, suo unico mezzo di sostentamento. E' vedova, i suoi figli sono andati via per vivere la propria vita altrove, uno addirittura in America. Passa le sue giornate a prendersi cura del frutteto aiutata da un anziano bracciante che è sempre rimasto vicino alla sua famiglia fin da quando il padre della donna era in vita. Una vita molto modesta la sua, ma quantomeno tranquilla. Questa tranquillità però viene rotta dall'arrivo di Israel Navon, Ministro della Difesa israeliano e da sua moglie Mira, che decidono di stabilirsi in un'abitazione proprio affianco alla proprietà agricola di Salma. La convivenza è difficile poiché il ministro e i servizi segreti decidono che il frutteto rappresenta una minaccia per l'incolumità della famiglia del politico, perché potrebbe essere usato come nascondiglio da parte del nemico e quindi, si stabilisce che venga distrutto. Questa notizia stravolge la donna che con l'avvocato Ziad Daud incomincia la propria battaglia legale per far rievocare il provvedimento. Inutile dire quanto la legge sia ovviamente dalla parte del cittadino israeliano che non è solo è cittadino in questo caso, ma ricopre anche un ruolo di grande spessore all'interno del quadro politico del paese. Il duo palestinese però non si da per vinto e, dopo la prima sentenza sfavorevole, decide di fare ricorso presso la Corte Suprema. Intanto il caso diventa di dominio internazionale e arriva la solidarietà da parte di alcune autorità di paesi stranieri nei confronti di Salma. Il verdetto finale comunque, non sarà dei migliori visto che viene stabilito che gli alberi debbano essere potati fino a trenta centimetri da terra per "non rappresentare un pericolo alla sicurezza del ministro".

"Allora signori, il lieto fine c'è solo nei film americani..." è la frase con la quale l'avvocato Zaid risponde all'assalto da parte dei giornalisti all'uscita dall'aula. Queste sono parole emblematiche che ci fanno capire quanto l'ingiustizia incomba nella vita del popolo palestinese tanto da rappresentare quasi un'ovvietà, la normalità.

Tutta la questione però ha un forte impatto emotivo su Mira, moglie del ministro, che dopo la vicenda decide di abbandonare la casa e il marito. Marito che intanto oltre a ritrovarsi solo e abbandonato, non può nemmeno cercare un po' di conforto osservando il verde degli alberi, visto che non solo sono stati potati, ma è anche stato costruito un muro di cemento armato altissimo che non gli permette di avere una visuale del paesaggio.

A fare da contorno alla questione centrale, c'è una questione che non è territoriale ma mondiale, cioè quella legata alla sottomissione della donna nei confronti dell'uomo, della società patriarcale e dei suoi cliché. Salma si invaghisce del suo avvocato che contraccambia il suo interesse ma quando la vicenda si conclude la abbandona per fidanzarsi con la figlia di un ministro, sicuramente si tratta di una relazione di convenienza, infatti in una delle scene finali del film lo si vede in un bellissimo ufficio, vestito bene, a differenza delle scene precedenti dove lo si vedeva professare in un ufficio fatiscente, disordinato e vestito in maniera non particolarmente curata. Inoltre Zaid è molto più giovane di Salma e quest'ultima viene criticata duramente da un uomo che si presenta a casa sua, un arabo che pare conoscesse il marito prima della morte prematura e la rimprovera per ciò che sta facendo e la invita a lasciar perdere. Questa donna quindi oltre a fare i conti con la solitudine a causa della lontananza dei figli e della morte del coniuge, oltre a fare i conti con coloro che vogliono distruggere il suo frutteto, viene anche costretta a rinunciare all'amore per motivi etici, religiosi e di interessi (questi ultimi da parte dell'avvocato). Tutto questo solo perché è donna e quindi dovrebbe mantenere un certo profilo. Dall'altra parte però Mira non se la passa meglio; vive all'ombra di suo marito Israel ed è costretta ad ubbidire e a comportarsi come le viene imposto dall'uomo. Decide di esprimere le proprie idee sulla vicenda attraverso un'intervista sui giornali ma verrà costretta ad abiurare firmando una lettera per non mettere in cattiva luce il coniuge. Stanca di essere identificata come "la moglie di...", stanca di non poter essere se stessa e di essere schiacciata dalla figura imponente e invadente di Israel, Mira lo lascia.

In fin dei conti nella diatriba al centro della trama del film, non ci sono né vincitori né vinti, esattamente come in guerra. C'è l'illusione di vincere uno scontro armato, ma quando c'è il sangue di mezzo, quando c'è l'ingiustizia in realtà non ci sono vincitori, ma solo vinti. Il ministro ha ottenuto ciò che voleva, ma a che prezzo? Si è lasciato trasportare dal proprio potere, ostentando sicurezza e risate sadiche durante le interviste ma cosa ne ha guadagnato? Ha perso l'amore della moglie, ha perso la visuale sul mondo, garantendosi l'isolamento e la chiusura. Salma da palestinese è già vinta in partenza, anche se i suoi alberi non sono stati abbattuti del tutto, comunque non può raccoglierne i frutti visto la potatura estrema; detta alla D'Annunzio si è trattata di una "vittoria mutilata".

La cosa che lascia di stucco è che il film è ispirato ad una storia vera, ovvero quella tra il ministro Shaul Mofaz e Salma Zidane. Dove il primo ottenne l'autorizzazione ad estirpare gli alberi di limone della seconda, nonostante quest'ultima avesse fatto ricorso alla Corte Suprema d'Israele.

Concludo con il ringraziare i ragazzi della FGC Lecce e tutti i ragazzi che hanno la voglia di dare vita a delle iniziative, che hanno voglia di fare luce su molte vicende che si sono susseguite e che si susseguono. In particolare voglio ringraziare Virginia che è la "Responsabile Università" dell'organizzazione, per la sua simpatia e disponibilità nei miei confronti, per avermi permesso di farle delle domande, per avermi sopportato, per aver mangiato con me i triangoli di mais e per non aver criticato i miei modi cafoni, visto che ho rifiutato di sedermi come tutti sulle delle comuni sedie e ho preferito appropriarmi di una poltrona sulla quale mi sono spaparanzato con il mio Crodino e Aperol e non contento ho anche rotto le scatole perché "il computer non mi permetteva la visuale completa dello schermo". Insomma grazie e scusate se devo sempre farmi riconoscere. 

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